L’etica applicata al marketing, alle vendite e alla leadership. Con questo articolo diamo avvio a un nuovo capitolo tematico del blog di OFG, un capitolo che riporta alla formazione manageriale e ad un modo diverso di interpretare il mondo del lavoro.
Iniziamo da una citazione rilevante:
L'ignoranza genera più fiducia in se stessi che il sapere.
- Charles Darwin
È questa la spiegazione al proliferare di dotti e sapienti che si affannano ad alternarsi sui media con ricette e pozioni magiche per la salute, l'economia, la politica e la psicologia, anche e soprattutto in questo periodo? La situazione attuale in realtà sta solo enfatizzando uno stato culturale che di fatto caratterizza da molto tempo la nostra società.
È sempre più frequente, soprattutto in campo lavorativo, incontrare persone che - pur essendo effettivamente abili nello svolgere la loro attività - hanno accantonato la dedizione alla crescita continua, al piacere e allo stimolo verso il nuovo, (parlo del “veramente nuovo”), cambiando senza grandi resistenze il proprio punto di vista. Un esempio eclatante è rappresentato dal campo delle vendite.
Quante sono le università italiane che si preoccupano di inserire e sviluppare sistematicamente il tema delle vendite all'interno dei propri programmi? Rispetto ad altre materie come il marketing, il campo delle vendite non gode della stessa rispettabilità accademica. Probabilmente a causa di un vecchio (strano) convincimento: è il campo, è la pratica, a fare il venditore.
Certo, la pratica quotidiana consente di confrontarsi con i propri limiti e di ottenere qualche successo. Ma la domanda che ogni commerciale dovrebbe e potrebbe porsi è: quanto sono consapevole di ciò che funziona nei miei comportamenti di vendita? Cosa non funziona e mi impedisce di ottenere risultati migliori?
Nella nostra esperienza quotidiana di formazione, abbiamo sentito dire molto spesso che non è il fatturato raggiunto ciò che interessa, ma il fatturato mancante, quello perso per strada inconsapevolmente.
È davvero strano che persone che svolgono un'attività che mette in relazione diretta uomini con altri uomini, non vogliano curarsi di comprendere a fondo i meccanismi di funzionamento degli scambi da un punto di vista scientifico.
Dopo tanti anni, non credo che si tratti di pigrizia ma di vera e propria overconfidence.
La situazione attuale dovrebbe farci comprendere quanto poco sappiamo di tante, troppe cose: scienziati illustri sono all'opera da mesi solo per capire come si comporta un virus che non conoscevano prima. Eppure la nostra confidenza nella scienza e nella tecnologia è così elevate da farci pensare a tratti di essere quasi invincibili, che tutto sia risolvibile senza opzione di fallimento.
Un twitt recente dello scienziato Robert Grant, in tal senso, è illuminante: “I’ve studied this stuff at university, done data analysis for decades, written several NHS guidelines (including one for an infectious disease), and taught it to health professionals. That’s why you don’t see me making any coronavirus forecasts.” - ovvero, in sintesi, questo statistico della medicina dice che proprio perché ha studiato e insegnato a lungo questioni di statistica sanitaria non fa nessuna previsione rispetto agli sviluppi della pandemia.
Dal nostro punto di osservazione però, non è tanto importante parlare di virus quanto di comportamenti di marketing e vendita. E l’overconfidence è un argomento che ci affascina molto. Parliamone un attimo.
Lo scienziato Daniel Kahneman ha definito l’overconfidence come “la madre di tutti gli errori cognitivi”. Probabilmente è stata la causa alla base di grandi disastri storici come l’affondamento del Titanic, della Deepwater Horizon, Chernobyl ecc. Una forma di arroganza travestita da competenza ed esperienza, che non riconosce l’umana vulnerabilità nel processare le informazioni e nella conseguente presa di decisioni.
Facciamo una valutazione in più sui possibili interventi e chiediamoci: è necessario forse azzerare la fiducia nelle nostre capacità di valutazione?
La risposta è no. Una scelta così radicale risulterebbe altrettanto inopportuna in quanto andrebbe a generare una situazione di staticità decisionale e di prolungamento eccessivo dei relativi tempi di azione. Con una scelta di questo tipo, la persona sarebbe colta da continui dubbi e colpita da una definitiva inazione.
Come ridurre quindi gli effetti negativi della overconfidence, ma al tempo stesso preservare l’attività decisionale e operativa di un individuo?
La risposta potrebbe sembrare banale o scontata, ma potrebbe essere una maggiore attenzione alla verifica dell’oggettività dei dati disponibili e al controllo degli stessi. Potrebbe rappresentare una buona ricetta per evitare di cadere nella trappola delle fake news che oggi più che mai rappresentano una sorta di “moda” comunicativa per molti.
Questa sana umiltà potrebbe essere la ricetta etica in ogni settore di attività per cercare di uscire da ogni situazione difficile.
Claudio Casiraghi