Comunicare. Incredibile la natura di questa parola, e di enorme portata intuitiva la sua etimologia.
La portata sociale di questo termine si esprime in pieno già solo se ci soffermiamo al significato latino del termine. Comunicare: mettere in comune, derivato di commune, che compie il suo dovere con gli altri, composto di cum, insieme e munis, ufficio, incarico, dovere, funzione.
Quando si parla di comunicazione e si riflette sull’impatto sociale del gesto di comunicare, è bene domandarsi se tutto ciò che viene espresso sia vero, buono e utile. Perché andare a verificare esattamente questi tre aspetti? Per la semplicità interpretativa di una narrazione attribuita a un grande pensatore dell’antichità.
Mi spiego meglio. Ci sono esercizi mentali che possono sembrare sterili all'inizio ma, una volta avviati, assumono sfaccettature e offrono risvolti molto interessanti, che talvolta si rivelano utili. Con l’idea che anche un articolo di un blog possa dare strumenti concreti a ogni professionista per esercitare al meglio il proprio lavoro - e nel caso specifico parlo proprio di condivisione di valore - ho provato ad immaginare cosa accadrebbe al nostro mondo della comunicazione se - in chiave etica - tutti applicassero lo strumento delle "tre porte" prima di esprimersi attraverso i canali oggi disponibili.
A cosa mi riferisco, esattamente? Molti conoscono la storia delle tre porte come i "tre setacci di Socrate", oppure nella forma di proverbio arabo. Ambientazione a parte, sono identici e per rispetto doveroso verso il grande filosofo riporto la "sua" versione. Per amore della comunicazione etica occorre premettere che, come molti sanno, il grande Socrate non scrisse mai neppure una sola parola di suo pugno e che tutto quanto conosciamo del suo pensiero e della sua vita è una ricostruzione di altri filosofi, in particolare di Platone e di Aristofane.
Nel caso della storia sopra menzionata dei tre setacci, non si tratta neppure di una loro cronaca, ma di un brano estratto dall'autobiografia di Millman, "Way of the peaceful warrior", del 1980. Premesso ciò, il valore dello strumento etico non viene assolutamente meno e quindi ecco la storia, così come ci viene raccontata.
Socrate aveva una reputazione di grande saggezza. Un giorno qualcuno andò a trovarlo e gli disse:
- “sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?”
- “Un momento” - rispose Socrate - “Prima che me lo racconti vorrei farti superare una prova, quella dei tre setacci.”
- “I tre setacci?”
- “Prima di raccontare una cosa sugli altri è bene prendersi il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato che quello che mi dirai è vero?”
- “No, ne ho sentito solo parlare…”
- “Molto bene. Quindi non sai se è la verità. Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico è qualcosa di buono?”
- “Ah no al contrario!”
- “Dunque vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sai nemmeno se sono vere.“
“Forse puoi ancora superare la prova: rimane il terzo setaccio, quello dell'utilità. È utile che io sappia cosa avrebbe fatto questo amico?”
- “Non proprio.”
- “Allora” - concluse Socrate - “quel che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile; perché volevi dirmelo?”
Da qui l'esercizio che mi ha divertito: quanta della comunicazione che inonda la nostra vita supera i tre setacci? Una verifica che dovrebbe essere fatta con attenzione quotidiana, visto che «con la lingua cominciano tutte le guerre».
Ho preso diversi articoli dalla stampa, da internet e dalla radio; ho analizzato post e twitt di diverso genere, e sono arrivato ad una mia personalissima conclusione: credo fortemente che la maggior parte di politici, giornalisti, opinionisti, influencer, ma anche di persone comuni, se venisse applicato il metodo dei setacci sarebbe costretta a vivere una vita di perfetto silenzio. Che mondo sorprendentemente diverso potrebbe essere il nostro, senza il frastuono di voci inutili che strillano contenuti privi di ogni speranza di passare i tre setacci!
Non significherebbe togliere la parola ma depurarla, come si fa con l’acqua per renderla potabile.
Oggi abbiamo potenti “acquedotti” mediatici che trasportano molto spesso una parola avvelenata, contaminata, pericolosa; senza alcun filtro, senza cura per gli effetti negativi che potrebbe avere sulla salute mentale, fisica ed economica di tante persone.
È persino banale chiederlo, ma non sarebbe più bello vivere in un mondo in cui la comunicazione è utilizzata per costruire, per aggiungere valore, anziché dubbi, dolore e negatività?
Per fare "accadere" questo mondo è sufficiente che ognuno di noi inizi ad assumersi una personale responsabilità etica nel comunicare. A far passare i propri messaggi quotidiani attraverso i tre setacci.
Gianluca Ambietti