Conversazioni di lavoro difficili: strategie per gestirle

Conversazioni di lavoro difficili: strategie per gestirle

Presupposto: Dover gestire un incontro di lavoro o privato insieme ad altre persone con il preconcetto che sarà una conversazione difficile e piena di insidie.

Capita molto spesso. Perché? La risposta più ovvia sembrerebbe essere legata alla delicatezza dell’argomento che si vuole affrontare con quella persona. In effetti esistono argomenti più “sensibili” di altri: sesso, denaro, valori morali ecc. Ciò che in molti casi però determina la reale difficoltà di una conversazione è la nostra abitudine a prefigurarci gli accadimenti. In altre parole “prevediamo” i problemi. Prevediamo che lo scambio sarà “difficile”. Ancor peggio, immaginiamo che quella persona sarà difficile!


Se da un lato la capacità di astrazione può avere una grande importanza e utilità nell’immaginare un mondo da realizzare, dall’altra può complicare terribilmente la nostra comunicazione interpersonale. 

Anticipando il conflitto con l’interlocutore, senza esserne consapevoli, attiviamo un processo di autodifesa che condiziona la nostra comunicazione e, di conseguenza, rende più difficile la conversazione. Senza volere, quindi, predeterminiamo l’esito negativo della nostra comunicazione con una determinata persona. 

Nella testa si affollano preoccupazioni e ansie sulle possibili conseguenze della azioni che andremo ad intraprendere, alternando pensieri come: mi starà a sentire? Reagirà aggressivamente. Rovinerò la relazione. Cosa penserà di me? Avrà conseguenze negative sul mio lavoro ecc.

In molti casi queste preoccupazioni possono portarci a stati emotivi talmente forti da determinare sensazioni molto simili ad un vero e proprio attacco di panico. 

Potremmo addirittura arrivare a decidere di non incontrare la persona o comunicare in modo superficiale, senza affrontare la questione principale. 

La prospettiva di una comunicazione aperta, potenzialmente “pericolosa”, ci rende spesso ansiosi e incerti, restringendo il campo a due sole possibilità: vincere o perdere. 

In questo modo l’incontro diventa una fonte di paure incontrollate, anziché uno strumento utile alla costruzione di soluzioni vantaggiose per entrambe le parti. 

Diventa un confronto di potere, uno scontro tra forze opposte. 

La reazione alla paura ha tre possibili esiti comportamentali previsti dalla biomeccanica della parte più arcaica del nostro cervello: attacco - fuga - freezing 

Sono pratiche risposte di sopravvivenza, ognuna delle quali però confligge con il buon esito di una conversazione, di una comunicazione orientata alla risoluzione di questioni operative, di convivenza sociale e di relazione interpersonale. Nulla di buono dunque. 

Cosa fare quindi? C’è una parola, o meglio una pratica che può aiutare a risolvere la difficoltà: confronto. 

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È un’attività da apprendere con grande cura e applicazione. Non è scontata. Si deve imparare a confrontarsi costruttivamente con le altre persone. È importante saperlo fare in ogni situazione e condizione. 

Immaginare, come detto, può essere utile ma anche limitante. Confronto significa “porsi di fronte insieme”, ovvero apertura alla situazione. Il suo contrario è il pregiudizio, figlio dell’immaginazione. Significa chiusura allo scambio costruttivo. 

Siamo spesso molto condizionati da esperienze di comunicazione passate che ci rappresentano lo scambio come una fonte di pericoli e di aggressività. È certamente vero che in molti casi sia accaduto di dover fronteggiare situazioni relazionali complesse e scomode, ma questo conferma che la causa risiede nelle paure e nelle incapacità di conduzione di una conversazione costruttiva. Tutto questo la rende “difficile”. 

È fondamentale comprendere che il confronto non è un’arma da utilizzare “contro” l’altro. Al contrario, è un’opportunità di costruzione CON l’altro.

Un passaggio utile è quello di imparare a distinguere tra critica costruttiva e aggressione alla propria persona. Un tema molto delicato questo, che può cambiare per sempre la qualità della nostra comunicazione in meglio. 

Il lecito timore di subire danni emotivi e materiali è certamente molto forte. Ci porta a tergiversare, a non esprimere il proprio pensiero, a evitare il confronto. In molti casi è più dannoso del potenziale rischio di subire una ferita emotiva. Non esprimere se stessi diventa esso stesso un danno emotivo a lungo andare. È fonte di frustrazione e di disistima. 

È corretto “camminare in punta di piedi” approcciando ad un confronto, ma la sua natura e il suo scopo positivo non possono essere dimenticati. 

Conclusione
In un mondo lavorativo che ci porta costantemente a contatto con numerose persone, diventa molto difficile, a volta insostenibile, condurre la propria attività in costante posizione di chiusura e di difesa. Rende impossibile fare emergere il meglio di sé. Solo un confronto aperto e costruttivo possono condurre alla piena espressione dei propri talenti. La comunicazione costruttiva diventa essa stessa il talento da esprimere, che molti per paura, tengono represso. 

Claudio Casiraghi 

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