Perché usiamo il linguaggio? La parola, il meraviglioso artefatto dell'umanità, lo strumento che ne ha accompagnato e favorito lo sviluppo sociale e individuale, paradossalmente rischia di diventare in molti casi l'elemento determinante di un fallimento.
Quanto pesa lo stigma negativo da parte di qualcuno solo per avere commesso un banale errore verbale? Quanto può essere frustrante non riuscire ad esprimere adeguatamente la propria opinione? Quanto, al contrario, potrebbe essere soddisfacente nella nostra quotidianità lavorativa, familiare e sociale, avere a disposizione una "cassetta degli attrezzi" più fornita ed efficiente?
La quotidianità infatti, è costellata di momenti caratterizzati da imbarazzi linguistici: situazioni in cui le parole giocano "brutti scherzi", mettendo i parlanti di fronte a vuoti di significato o a dannose malcomprensioni.
Imparando una lingua fin dalla tenera età, spesso si dà come scontata un'abilità che, in realtà, non viene sempre esercitata come meriterebbe; forse sarebbe più corretto dire come imporrebbe la necessità legata ad un suo uso efficace.
Leggere di più ed esercitare maggiormente la scrittura, confrontarsi di più con le norme linguistiche, permetterebbe di avere un rapporto più competente con il proprio linguaggio e con il suo utilizzo.
In realtà, il fatto di essere consapevoli di riuscire a cavarsela sempre in qualche modo, non spinge ad una maggiore cura dello strumento linguistico. Risultato? Ci si trova di fronte ad un modulo da compilare, ad un testo un po' più complesso, ad una persona con un linguaggio più articolato della media, e si entra in una crisi profonda, ottenendo risultati pessimi.
Sorprendentemente, emerge che nella cosiddetta società della comunicazione, alla competenza verbale è riservato un ruolo marginale rispetto ad altre competenze, come quella informatica o a quella tecnica in genere. Si è sempre convinti che "tanto le parole verranno."
Quando sul posto di lavoro dobbiamo affrontare lo scambio con persone che ricoprono un determinato ruolo, oppure quando la situazione relazionale diventa particolarmente complessa, si scopre, con grande rammarico, che invece le parole non vengono affatto.
Peggio ancora, quelle "che vengono" non sono sempre così adeguate quanto dovrebbero. Come se non bastasse, molte delle parole proposte dall'interlocutore sfuggono nel loro significato. Risultano essere un insieme di "non sensi" che colpisce il cervello, che è costretto ad affannarsi in un processo di decodifica al quale non è più abituato, e per il quale non si è attrezzato abbastanza.
Ci vorrebbe un "Pronto Soccorso Parola" per evitare il disagio e frustrazione che seguono ad uno scambio inefficiente e, ovviamente, inefficace.
È un risultato, non solo possibile, ma fondamentale per ogni individuo, raggiungibile attraverso uno specifico esercizio e una specifica formazione. Ognuno ha possibilità e la responsabilità di affinare le proprie competenze linguistico-comunicative, per essere maggiormente padrone dei propri successi relazionali e lavorativi.
Gli unici impedimenti? Paura, pigrizia, indolenza. Il limite concettuale da superare? Smettere di accontentarsi nel riuscire semplicemente di cavarsela. Un po' quello che si fa approcciando ad una lingua straniera: "l'importante è farsi capire".
Appunto, farsi capire, però in modo compiuto, articolato ed efficace. Si eviterebbe così di assumere le sembianze di un primate che cerca disperatamente di farsi dare del cibo, con gesti e vocalizzazioni fantasiose.
Assumere pienamente la responsabilità della propria comunicazione è un approccio etico, non solo alla comunicazione, ma alla vita stessa. Un orientamento ad esprimere se stessi nel miglior modo possibile, utilizzando al meglio tutti gli strumenti disponibili.
Il famoso linguista Tullio De Mauro considerava l'educazione linguistica di un popolo come il mezzo più potente per favorire il processo di democratizzazione della Nazione. Infatti, un popolo capace di cogliere adeguatamente il senso di un messaggio, di un'informazione, è un popolo in grado di scegliere adeguatamente. Possiamo dire la medesima cosa per quanto riguarda un'organizzazione aziendale: se le persone sono preparate ad un registro linguistico consono, possono produrre risultati di valore, sia all'interno, sia all'esterno dell'azienda.
Comunicare con gli altri - socializzare, questo è uno degli aspetti fondamentali della competenza linguistica. Permette di confrontarsi con la "differenza" di pensiero.
Questo confronto, molto allargato oggi, comporta la necessità di una padronanza elevata del sistema linguistico-sociale per ridurre al minimo il pericolo di malcolprensione e di conflittualità tra i parlanti.
La comunicazione si sviluppa attraverso la produzione di una serie di testi. La radice latina del termine è textus ovvero tessuto. Ricorda chiaramente che una comunicazione, come un tessuto, è un incrocio di almeno due fili: le due parti che creano un discorso, o i fili di un pensiero.
Come un tessuto ha un inizio e una fine, ma può durare nel tempo se ben "tessuto"; ha una sua caratterizzazione nel disegno e nel colore, che vogliono rappresentare qualcosa: la persona e un significato (o più di uno).
Parlare dunque è una creazione personale rivolta agli altri, al creare funzionalità e bellezza, esattamente come un tessuto.
Claudio Casiraghi