Secondo il grande sociologo Zygmunt Bauman il legame debole tra le persone della società moderna è il modo migliore, la garanzia dell'esercizio del proprio potere per ogni forma di governo, per consentire ai poteri forti di imperare (Modernità Liquida).
Non si tratta neppure di una novità assoluta in quanto richiama l’allocuzione latina: “divide et impera”. La tradizione tende ad attribuire il principio a Filippo II di Macedonia, ma certamente si è trattato di un principio molto caro agli imperatori romani e a tutti i dittatori della storia in generale.
Non saprei se attribuire ad una sapiente regia il risultato della divisione sociale attuale che Bauman richiama, ma una cosa è certa: è facilmente visibile in molti contesti e in molti comportamenti.
È anche possibile che l’evoluzione economico-sociale-tecnologica degli ultimi cinquant’anni abbia prodotto in modo “naturale” una serie di effetti tra i quali “l’invenzione dell’individuo moderno”, capace di bastare a se stesso grazie all’uso delle innovazioni tecnologiche.
Il punto di attenzione sta proprio nel concetto di individuo, che si è gradualmente trasformato in un “dividuo”, ovvero in un soggetto chiamato a dividersi tra ruoli e immagini di sé molteplici, distorte però dall’idea di poter o dover essere completo in ognuna di esse, e quindi di rappresentare un mondo a parte, separato dagli altri “dividui”, autosufficiente e autonomo.
È un ritorno in chiave moderna al mito di Narciso che esalta l'individualismo, l’egoismo e la felicità individuale, specchiandosi in se stessi, nei propri titoli e nei risultati materiali ottenuti.
Si è lasciato così sempre più spazio ad un ego ipertrofico che proietta sempre se stesso verso l’alto, in una ricerca della perfezione della forma più che sostanza umana. In breve tempo il "noi" sparisce nell'"io".
Il mondo è diventato un ambiente multipolare senza particolare attenzione alla competenza relazionale di impronta etica, ovvero quella basata sull’attenzione all’altro nella consapevolezza dell’importanza dell’altro e della sua dignità in quanto persona.
Molto spesso infatti, all’interno della organizzazioni la dignità si sovrappone all’importanza misurata dal ruolo anziché dalla qualità della persona, considerata come tale, indipendentemente dal titolo o dal risultato prodotto.
La visione antropocentrica del mondo viene esasperata, tanto che Giuseppe De Rita parla di EGOLATRIA.
C'è una insaziabilità anche dal punto di vista giuridico, con l'attestazione progressiva e crescente di diritti individuali. Questa richiesta, però, non trova il suo contraltare in analoghi doveri assunti o assumibili.
Il mancato equilibrio del rispetto favorisce la prevaricazione del più forte in un mondo che esalta l'individualismo. Nella società attuale si eleva a diritto la semplice pretesa del singolo che riesce a farla valere quanto più è "forte" e "potente" come individuo. L'esaltazione dell'ego, se non governata, porta a derive distruttive.
La ricerca assoluta del benessere individuale indebolisce la ricerca del legame di solidarietà, aumentando così in modo crescente la diffusione del senso di insicurezza che alimenta la paura, una paura vaga e generica, un senso di precarietà e inadeguatezza che conduce rapidamente alla solitudine e alla depressione.
Si indebolisce il tessuto sociale aumentando l'incapacità di andare oltre se stessi aprendosi veramente agli altri.
La comunicazione e la relazione devono necessariamente assumere contorni etici, quei tratti che rendono di valore lo scambio tra le parti.
Felicità e comunione sono strettamente legate tra loro, si potrebbe dire tranquillamente in modo inscindibile.
L’importanza di una comunità funzionale è parte integrante del pensiero etico fin dalle sue origini e si evidenzia in una sintesi estrema proposta da Aristotele: "Chi non può entrare a far parte di una comunità, o chi non ha bisogno di nulla, bastando a se stesso, non è parte di una città, ma o una belva o un Dio.
L’azienda, come ogni altra organizzazione sociale, è chiamata così a riconcepire se stessa nelle relazioni funzionali utili alla valorizzazione sia dell'individuo e sia dell'insieme contemporaneamente, riacquisendo le proprie responsabilità verso la società.
Oggi sentiamo parlare spesso di sostenibilità e di responsabilità verso l’intero ecosistema, ma questo è realmente possibile solo passando, o meglio partendo, da una sostenibilità interna prima ancora che esterna.
Nuove relazioni di prossimità e di reciprocità dunque. La prossimità non è solo quella fisica ma anche quella psicologica, data dal capirsi e accettarsi l’un l’altro.
In passato la famiglia era il primo luogo di sperimentazione e di applicazione del bene comune, del confronto di genere e generazionale. Rappresentava una sorta di laboratorio sociale che però non poteva funzionare in modo automatico per sua semplice esistenza: deve essere organizzato su precisi valori e regole di funzionamento e di convivenza che quotidianamente gestiscono e devono essere gestite, anche modificate all'occorrenza.
Oggi questo laboratorio è rappresentato dall'azienda, in quanto rappresenta la prima vera occasione di incontro con una realtà collettiva orientata ad un preciso obiettivo.
Imprenditori e manager non possono permettersi in ottica etica, di lasciare al caso situazioni e risultati, ma devono orientare, formare e allenare le competenze.
Oggi più che mai sono necessarie scelte continue di responsabilità da parte di tutti i componenti della collettività organizzata.